Due sorelle nel cammino, costantemente demonizzata la seconda e osannata la prima, come in un rincorrersi indugiante e sorprendente degli stati d'animo che si alternano, effimeri nella giostra della vita, luce e ombra.
Raccolgo testimonianze accorate,aneliti d'amore, disagi e preghiere in questo venerdì di febbraio, mentre note profumate di dense brume primaverili risalgono la soglia della piccola finestra sull'aia.
Poco oltre scrivo con il mio computer e mi trovo a pensare cosa voglia dire la frase del poeta che meglio seppe discendere gli inferi dell'umana scelleratezza, disquisendo dottamente e ammirabilmente su pensieri capaci di allargare la nostra capacità di aprirci alla Conoscenza:
"Dove c'e' molta luce l'ombra è più nera"....
Perché è a causa della conoscenza, che la nostra anima può immedesimarsi nelle alterne vicende dell'ego, rinunciando alla primeva spontaneità del cuore che cogliamo nei bimbi piccolini.
Una martellante pubblicità e una ancor più ossessiva deriva mediatica, stravolge ormai quei bimbi attraverso schermi luccicanti e suoni inaspettati e gravi...piccoli che dovrebbero iniziare a sentire solo parole d'amore, rumori del vento e il cinguettare degli uccellini...
E quindi, prima possibile, si inizia a distinguere, scegliere.
Cosa c'entra tutto questo con la nostra ombra?
Cosa c'entra con la capacità di conoscere?
"E la luce fu", leggiamo nella bibbia e attraverso questo verso possiamo riconoscere la nascita della sua sorella.
Grazie alla luce, l'ombra può essere riconosciuta...specchio contrastato dell'umano sentire ed ecco dunque la nostra capacità alchemica di mediarla, di ricostruirla e di sentirla nostra nel profondo.
Ricorriamo a metafore come quelle di "essere al buio", quando non troviamo soluzioni ad un dilemma, di essere pieni di luce quando ci sentiamo persone felici e sorridenti...
Ma davvero dobbiamo rifuggire l'ombra ad ogni costo?
Io credo che si dovrebbe aver posto solo per la luce, nel nostro profondo, insediando dentro di noi un principio valido a scacciare i pensieri tristi e malevoli, filtrando con pazienza certosina quello con cui veniamo in contatto.
Il veicolo esterno è sempre esposto ad un mondo pieno di controversie,di sottili , crudeli arguzie, di tendenziose licenziosità...rifugiandoci nel nostro cuore, come in un tabernacolo intoccabile, preserveremo la nostra buona fede e il nostro altruismo.
A guisa dei frati che medicavano le ferite dei malati senza contrarre i morbi mortali, potremmo tendere la mano a chi ce la chiede, ascoltare in silenzio, senza dover necessariamente portare il cambiamento in quell'anima sofferente.
Non subito almeno.
Essere fratelli nel dolore significa questo: non esporre il proprio benessere e la propria maestria, cura di ogni infallibile ego, disposto persino ad umiliare chi alberghi nel dolore.
Quanta gente sta male e quanti attorno a loro si prodigano a spiegare quanto siano proprio loro causa di quel male.
Pochi altri, davvero troppo pochi, non perdono il contatto e stanno solo ad ascoltare.
Perché comprendere il dolore del fratello ed esserne testimone non significa divenire preda del dolore, ma neanche rifuggirlo come un appestato..anche se spesso chi soffre ripete concetti che ci turbano e siamo pronti a distanziarci con troppa facilità.
Soffermiamoci di fronte a quell'ombra, e rimaniamo immoti, come dice un poeta cheyenne :
"Affacciata nell'oscurità, portavi un vaso di luce"
Mi risovviene Giobbe e le sue piaghe e poi un'altra lettura di quella frase di Goethe che potrebbe emergere dal contrasto che ha accompagnato la vita di molti santi.
Spero che la mia riflessione possa aiutare qualcuno, mi auguro che dopo oggi quel qualcuno non guardi più con disprezzo e senso di disagio chi è sotto le spire di una sorte avversa, ma che, con sguardo disincantato, porga la sua mano tesa e poi sia forte e non tentenni.
Per farlo manterrà puro il suo cuore, controllerà la mente e si adopererà in questo mondo di contrasti per il bene e la fratellanza dei popoli.
Pace e Luce stasera nella preghiera delle 22.
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