venerdì 20 giugno 2014

Pioggia d'estate

Per cominciare vi offro un thè

Vi preparo un thè e mi accomodo accanto a voi..fuori piove ed è una pioggia dolce, estiva, rinvigorente e mentre la natura tutta si tinge a festa e le piante gioiscono...sedete vicino a me...
A volte bisogna chiedersi a che punto si è arrivati e poi dove conviene e  si vuole giungere: molto lontano o solo oltre la collina?
Forse, per capire cosa sia giusto fare, dobbiamo solo oltrepassare l'argine del fiume e avventurarci poco oltre, nella radura satura di profumi di legno e di tiepide fragranze di fiori di giugno, appena dischiusi tra baccelli e ombre di fine primavera...

Le radici della sofferenza

Siete già giunti alla vostra giovinezza e poi ancora più indietro alla fanciullezza..forse le radici della sofferenza sono proprio lì, nascoste sotto la paglia raccolta...forse potrete riscoprire con essa anche un poco del vostro dolore e liberarvi per sempre di quelle zavorre che appesantiscono il vostro cammino...ma se essa fosse ancora più profonda e si avvinghiasse salda come un'edera limacciosa al terreno..allora è alla vostra infanzia che dovrete giungere e senza indugio accorrere in aiuto del vostro spirito...

A volte ci sentiamo profondamente incapaci di rintracciare l'evolversi di una sensazione, ne siamo schiavi e lasciamo che ci avvolga, assolutamente abbacinati da essa..così è per gli artisti, per i poeti, per coloro cui le spire della sofferenza agiscono come catapulte della sensazione..mentre altre miti e quiete creature nascondono oblii di sofferenza..come la mia amica Lisa, una bimba dolcissima, cui la vita aveva riservato un destino dolorosissimo.

Lisa, figlia dell'amore

Lisa era figlia unica, i suoi genitori erano due pittori di grandi speranze, a cui la vita aveva riservato più di qualche delusione e che erano già grandi quando si erano uniti, andando a vivere in un'antica casa di campagna. 
Quando la mia amichetta era nata, era stata una festa, un tripudio..un'innegabile felicità..ed era tutto un dipingere questa bimba bella dai capelli d'ebano e gli occhi celesti. 
Ricordo ancora i giochi nel suo giardino, le feste e le leccornie preparate per noi bambini dalla sua mamma.
Ma la gioia non durò, le difficoltà a vendere i quadri, l'incapacità di gestire la situazione dei debiti e purtroppo quando il suo papà venne a mancare,all'improvviso, vittima di un infarto, la situazione precipitò.
Da quel giorno iniziò un periodo oscuro: la mamma non riuscì a sopportare l'assenza del suo amato ed iniziò a lasciarsi andare, un giorno alla volta, con la tiepida volontà di quelle creature leggiadre, cui il sole dell'esistenza dissecca lentamente gli entusiasmi e i sorrisi...
La mamma di Lisa non sorrideva più e guardava oltre la finestra aperta, oltre il confine del cielo.
Trascorse qualche anno e la situazione non accennava a migliorare e fu fatto il possibile per riportare alla ragione la donna, con quelle pratiche disumane che erano gli elettroshock.
Ed ecco allora che la donna giaceva sui cuscini, con le labbra dischiuse, gli occhi pieni di lacrime, lo sguardo perduto...altre volte cantava e pettinava dolcemente i lunghi capelli neri della sua unica bambina, mentre lei la osservava silenziosamente.
Una notte, almeno così lo ricordava Lisa, ci fu un gran temporale e tra lo scrosciare dell'acqua e i tuoni abbaglianti, volle immaginare un carro che scendesse dal cielo e portasse  la sua mamma a raggiungere il papà...
Il giorno dopo una zia la informò, senza troppa grazia, che la mamma, malata da tempo, era morta.
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Lisa fu portata a vivere da una lontana parente e lì, accomodata con altri 2 ragazzi e due bimbette di pochi anni  nella misera casetta di 3 stanze, le furono impartite le prime rudi lezioni di vita.
Non poteva dipingere, non poteva cantare, mentre doveva subire sberleffi e storpiature del suo nome: la sbeffeggiavano perché la sua famiglia era stata altolocata e i ragazzi la canzonavano con dei commenti ascoltati dai genitori : "Lisa figlia dell'amore, Lisa figlia dell'amore", le gridavano dietro..
Erano gli anni 50 e in una famiglia povera c'era molto lavoro da svolgere: ogni giorno occorreva andare nel campo a raccogliere poche erbe per fare da pranzo, poi rigovernare la stamberga umida e badare alle cuginette, lavare i panni alla fontana e così via; lo zio tornava sempre un po alticcio, perché si fermava a bere all'osteria e tutti loro, che normalmente erano vocianti, dovevano osservare un assoluto silenzio. La zia serviva la minestra riscaldata sui fornelli della cucina a carboni ed il vecchio imprecava e si lamentava inveendo.
Poi Lisa rigovernava la cucina, mentre la zia cuciva e rammendava. Era quello il momento in cui i parenti iniziavano a parlare ed il più delle volte lo facevano per inveire e maledire, sparlare e calunniare chiunque di cui si venisse a discorrere...Lisa aveva pure scoperto che questa angosciosa consuetudine li rendeva quasi felici: sfogavano la loro malavoglia di vivere nello scagliare vituperi e maledizioni verso parenti, conoscenti, vicini o malcapitati visitatori. L'abitudine a parlar male, con aria guardinga e fosca, gli occhi stretti e le labbra serrate , la fronte corrugata, li rendeva addirittura più disponibili con lei e con le due bimbe più piccole e meno intolleranti ai giochi dei ragazzi, i quali, avvezzi a quell'abitudine scellerata, si divertivano a provocarli: "Allora, la Marietta si è fidanzata con Gino?" chiosavano e quelli: "Che sia maledetta quella poco di buono, il padre mi doveva 5000 lire e se le è portate nella tomba!" e via giù accidenti e scomuniche, mentre la zia agitava nervosa  il lenzuolo consunto, a cui l'ennesimo rattoppo aveva reso la stoffa così rigida, che dormirci sopra sarebbe stato quasi impossibile..
"Vai a prendere dell'altro vino in cantina" le ordinava allora lo zio e Lisa obbediva, ma già sapeva che di quel passo presto sarebbe caduto addormentato sulla tavola, con l'orlo dei pantaloni scucito che pendeva oltre il bordo della sedia e un rivolo di saliva maleodorante avrebbe spumeggiato nel suo russare sonoro.
Allora e solo allora, di nascosto, sarebbe scesa di nuovo in cantina, avrebbe tirato fuori le sue matite e si sarebbe messa a disegnare: poteva farlo solo in gran segreto...
D'altronde, questo fosco quadro familiare non la sconvolgeva più  tanto. Anzi, aveva scoperto che la maldicenza rendeva  gli zii più clementi nei suoi confronti: sparlare degli altri li avrebbe distratti dal rimproverarla  come accadeva di solito. Si rese conto che i suoi zii appartenevano a quella triste genia di persone che si prendono la briga di giudicare il mondo e che, attraverso quel giudizio, ritengono di avere il diritto di amministrare una giustizia tutta loro, fatta di maledizioni e anatemi, di autoglorificazioni e di vittimismi.
Scoprì che se c'e' qualcuno cui farla pagare, nessuno ti chiede più se hai svolto bene il tuo dovere e che  chiamare in causa gli altri, è più facile che guardarsi dentro.
Sentiva che erano così grevi e rozzi da darle la nausea, ma capiva  pure, come solo i bambini sanno fare, che la sua vita dipendeva da quanto fosse riuscita a schivare le persecuzioni e la cinta dello zio.
Prese l'abitudine di giudicare, prima di essere giudicata, di negare, prima che qualcuno la interpellasse, di ricorrere a stratagemmi per ottenere favori o l'affetto di qualcuno.
Non era il suo mondo e si adattò, un poco alla volta.
Quel vivere fu un'eredità pesante, che scatenò una serie di conseguenze nella sua vita: dal matrimonio con un ufficiale di fanteria, che non avrebbe mai amato, all'indulgere in bugie per autogratificarsi o per raggiungere  ciò che desiderasse ottenere.
Ma era profondamente infelice e quando la reincontrai, stentai a riconoscerla: non era già più quella bimbetta dai lunghi capelli neri, ma una donna robusta, con uno sguardo annoiato e guardingo e la morte nel cuore.
E raccontò tutto in una lunga notte di confessioni...
Mi convinsi a rimanerle accanto per un po, trascorremmo insieme una settimana sulle nostre amate montagne, alla fine della quale riconobbe di non essere  la donna che avrebbe voluto diventare.
Ci prendemmo l'un l'altra le mani, stringendole forte e decidemmo di rimanere sempre in contatto,scrivendoci dai  due opposti della penisola:  non ci saremmo mai  più allontanate.

Da vittime a carnefici

Quando accade di capire che siamo ad un punto morto, scopriremo che la nostra vita può cambiare: potremo scegliere se rimanere dove siamo, oltrepassare quel punto o addirittura usare quella sofferenza per capire dov'e' l'errore. Se non lo faremo, se lasceremo trascorrere quel momento, allora diverremo a nostra volta carnefici, incapaci di creare, sfortunati e scellerati.
Per fortuna Lisa aveva ancora speranza nel cuore: radunò tutti i suoi desideri nelle sue tele e nei suoi colori  e si rimise a dipingere, scoprendo un poco alla volta ciò che aveva dimenticato: che il mondo va vissuto e la gente va perdonata, non una , ma 10 , cento volte e sopratutto capì che dobbiamo perdonare noi stessi e non smettere mai di farlo e che, alla fine, lei era veramente figlia dell'amore.

E voi, avete qualche cosa che volete vi sia perdonato? O siete voi stessi che non riuscite proprio ad accettare ciò che siete diventati? Siete intolleranti verso chi è diverso da voi?
Se  potete sentire questo, se riuscite a guardarvi dentro, allora siete salvi: il vostro futuro è ancora nelle vostre mani, non una, ma dieci, cento volte.E quel ch'è più : potete cambiare rotta.

Come uscirne

Preghiamo stasera per riuscire a distaccarci dalle menzogna e dalla maldicenza, accettiamo con comprensione l'errore degli altri, come fosse il nostro stesso errore, perché è davvero così: quello che ci circonda è parte di noi e solo ascoltando il nostro cuore, taglieremo le funi che legano il nostro vascello.
Quello che ci ha influenzato da bambini non deve per forza modificare la nostra vita: occorre supportare il nostro intento, purificare la nostra mente e promettere con ardore di perseguire la strada della Luce.
E allora scoprirete che siamo liberi di veleggiare.. fin là dove il mare si fonde con il cielo...
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Avete finito di bere il vostro the'?

Pace e Luce

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