mercoledì 30 luglio 2014

Padre Dall'Oglio: un gesuita per la Pace

E' ancora vivo Padre Dall'Oglio?

Tutti noi lo speriamo e siamo pronti a pregare ancora per lui, dopo quel luglio di un anno fa, in cui la Farnesina affermò di non conoscere le sorti del gesuita impegnato nelle trattative di liberazione di ostaggi in Siria.
Qualcuno scrive in arabo, sul suo diario Facebook: " قَوِّمُوا فِي الْقَفْرِ سَبِيلاً لإِلَهِنَا " che nella nostra lingua vuol dire: "Una voce grida nel deserto: Preparate la via del Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio".
Ed è con queste parole che vogliamo rivolgerci a lui, come a colui che ha dedicato la vita a rendere possibile il dialogo interreligioso con il mondo musulmano.



Ma non solo: la nostra preghiera non è dimentica di tutta la sua opera, che oramai da trent'anni si rivolge non solo ad integrare diverse etnie, ma a favorirne il dialogo, nel rispetto di ciascuna identità, cooperando ad un progetto sovranazionale di pacificazione, di rispetto e di condivisione di opportunità, per il benessere di tutte le popolazioni: per questo suo impegno, nel 2012, la regione Lombardia gli riconosce il Premio per la Pace.

L'amico di Dio



Oltre a distendere il clima politico ed a farsi portavoce dei diritti dei più oltraggiati, ha fondato un monastero in Siria, nei pressi dell'antico romitorio di San Mosè l'abissino, dove ha accolto una comunità ecumenica mista, con il nome di  "Al Khalil", ossia "L'amico di Dio".

In questi altopiani che erano desolati, ha fatto rifiorire una speranza di fratellanza universale.


Nello spirito di Gandhi

Ma ascoltarlo parlare toglie ogni dubbio sulla chiarezza della visione, sulla  profonda e non violenta partecipazione alle traversie dei conflitti mediorentali e nella sua intensa intervista, ancora disponibile sul web, a ben guardare, c'e' più di una chiara esortazione verso quella presa di coscienza che solo un uomo di profondo credo pacifista e di grande tolleranza  poteva proferire, per ricreare le basi dell'armonia, come pure per allontanarsi dalla faziosità mediatica, più o meno resa palese da altre fonti.

Espulso e poi rapito

Padre Dall'Oglio non fa politica, ma riceve lo stesso un decreto d'espulsione dalla Siria.
Quando vi ritorna, per mediare tra curdi e jihaisti arabi, viene rapito nel corso delle trattative che stava concludendo per ottenere la liberazione di un gruppo di ostaggi.
Nelle sue parole, la verità e l'essere conscio della pericolosità e del clima politico avverso alla sua missione:

Qui per assistere al video dell'intervista con Padre Paolo

Il coraggio del dialogo nell'inferno del Medioriente

Ascoltatelo con attenzione, non rinunciate a farvi un'opinione personale, meditate su ciò che dovrà e potrà essere fatto, se non da lui, da chi avrà il coraggio di non vanificare la sua opera e di sostenere il suo pensiero.
E se il suo credo di uomo religioso esprime la parola di Gesù, il suo impegno non può essere confinato in una militanza religiosa, perchè costruisce la premessa della realizzazione del suo ideale di pace tra i popoli, andando al di là di qualsiasi identità ed appartenenza.

Si può uccidere un uomo, ma non il suo ideale

Attendendo il suo ritorno, come tutti speriamo, leggiamo la lettera che Padre Paolo inoltrò al Segretario Generale dell'Onu,Kofi Annan, in occasione del suo insediamento.
La chiarezza del suo pensiero può mostrare più di un'evidenza e contribuire a proporre valide alternative ad un clima politico allo sbando: allora, come oggi, il suo approccio è lucido e lo sguardo di chi conosce e comprende i meccanismi di una terra per troppo tempo isolata da troppi interessi economici e politici.

Padre Paolo Dall'Oglio è ancora qui, nelle sue parole.
Chi lo ascolterà?



Lettera di Padre Dall'Olio a Kofi Annan

Ecc.mo Signor Kofi Annan, Segretario Generale emerito dell’Onu,

Pace e bene. Con questa pubblica comunicazione vorrei esprimerle innanzi tutto gratitudine per aver accettato questo incarico delicatissimo per la salvezza della Siria e per la pace regionale. Ci aggrappiamo alla sua iniziativa come dei naufraghi a una zattera! Lei è riuscito a superare lo scoglio dell’opposizione russa a qualunque proposta che comportasse un autentico cambiamento democratico. In prospettiva, la Siria può e deve costituire un elemento di bilanciamento delle problematiche regionali e non un cancro corrosivo. Mi sembra che una maggioranza di siriani ragioni in termini di equilibrio multipolare e non in quelli d’una nuova guerra fredda. 


Aspirazione alla democrazia

Il popolo siriano è tradizionalmente antimperialista, ma molto di più è a favore della creazione d’un polo arabo che ne rappresenti il diffuso desiderio di emancipazione e autodeterminazione. Un sentimento questo che implica l’aspirazione a vera democrazia e riconosciuta dignità delle componenti culturali e religiose di questa società e degli individui umani che la compongono.

Irresponsabilità internazionale

La dinamica regionale è marcata oggi da una difficoltà reale di convivenza tra popolazioni sciite e sunnite e di concorrenza tra esse. Ciò provoca anche grave disagio alle altre minoranze, innanzitutto quelle cristiane. La primavera araba, caratterizzata inizialmente dalla richiesta, specie giovanile, dei diritti e delle libertà, rischia la deriva confessionale violenta specie quando l’irresponsabilità internazionale favorisce la radicalizzazione del conflitto.

Le origini dell'illegalità

Signor Annan, lei sa meglio di chiunque altro che il terrorismo internazionale islamista è uno dei mille rivoli dell’«illegalità-opacità»  globale (mercato di droga, armi, organi, individui umani, finanza, materie prime …). La palude interconnessa dei diversi «servizi segreti» è contigua alla galassia della malavita anche caratterizzata ideologicamente e/o religiosamente.  Meraviglia che pochissimi giorni siano bastati ad altissimi rappresentanti dell'Onu per accettare la tesi della matrice «qaedista» degli attentati «suicidi» in Siria.
 Una volta accettata mondialmente la tesi liberticida che in loco c’è solo un problema d’ordine pubblico, non rimane che aspettarsi il ritiro dei suoi caschi blu disarmati per lasciare alla repressione tutto lo spazio necessario a conseguire il «male minore». Che la potenza nucleare e confessionale israeliana abbia interesse in una guerra civile a bassa intensità e lunga durata è solo un corollario al teorema. Si aggiunga che «gli arabi» non sono culturalmente maturi per la democrazia «reale» e il gioco è fatto! Resta in alternativa l’opzione della frantumazione su base confessionale del Paese, magari ritagliando ai caschi blu un ruolo anti strage per evitare disdicevoli eccessi bosniaci.


Garantire con i caschi blù il rispetto del cessate il fuoco

A causa delle esperienze non sempre felici degli osservatori Onu, l’ottimismo resta condizionato all’emergenza d’una concreta volontà negoziale nel  Consiglio di Sicurezza e all’interno del paese e a una larga assistenza da parte della società civile internazionale a quella locale. Tremila caschi blu e non trecento sono necessari a garantire il rispetto del cessate il fuoco e la protezione della popolazione civile dalla repressione per consentire una ripresa della vita sociale e economica. È urgente chiedere l’abolizione delle sanzioni non personalizzate che puniscono le parti più deboli e innocenti della popolazione.

Avvio capillare alla vita democratica

C’è inoltre bisogno di trentamila «accompagnatori» nonviolenti della società civile globale che vengano ad aiutare sul terreno l’avvio capillare della vita democratica. Si tratta di favorire un’organizzazione statale basata sul principio di sussidiarietà e del consenso, eventualmente favorendo quella struttura federale più corrispondente alle principali particolarità geografiche (la federazione è l’esatto contrario della spartizione!). Solo dando fiducia all’autodeterminazione delle popolazioni sul piano locale si potrà riportare l’ordine e combattere ogni forma di terrorismo senza ricadere nella repressione generalizzata e settaria.

Riabilitazione civile e riconciliazione

È opportuno e urgente creare delle commissioni locali di riconciliazione, protette dai caschi blu e in coordinazione con le agenzie Onu specializzate, anche in vista della ricerca dei detenuti, rapiti e scomparsi delle diverse parti in conflitto. Sarà anche necessario porre al più presto la questione della riabilitazione civile dei giovani coinvolti in organizzazioni terroriste e malavitose.

Salvare il popolo e lo stato

Lei ha ripetuto che per riappacificare occorre un processo politico negoziale. Ma si può immaginare questo senza un vero cambiamento nella struttura del potere, specie in una situazione come questa dove il governo è una facciata e anche il regime al potere obbedisce a un oscuro gruppo di supergerarchi? Bisogna salvare lo stato, certo. Esso è di proprietà del popolo. Ma prima è necessario liberarlo.

La profezia di Gandhi

La sua iniziativa, caro Signor Annan, segna una tappa rivoluzionaria nel percorso dell’esercizio della responsabilità internazionale nella soluzione dei conflitti locali. La presenza disarmata dell’Onu oggi in Siria è una profezia gandhiana che vale ben oltre la crisi puntuale che si vuole così risolvere. La priorità sia allora quella di proteggere la libertà d’opinione e d’espressione della società civile siriana senza la quale è impossibile perseguire gli altri obiettivi essenziali alla pacificazione nazionale.
Con stima e gratitudine.

Padre Paolo Dall'Oglio


A chi voglia approfondire, consiglio di leggere gli articoli di Padre Paolo Dell'Oglio su "Popoli", pubblicazione internazionale dei Gesuiti italiani.




Pace e Luce



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