venerdì 31 gennaio 2014

Dove la vetta è degli eroi

Scalare la montagna della vita

Più volte mi avete sentita raccontare storie di alpinisti e di conquiste, di scalate ardue e di occasioni perdute, in altre occasioni parliamo di fatti quotidiani, sebbene i primi possano essere considerati metafora di questi ultimi.
E a proposito di scalate, oggi vorrei ricordare la mitica spedizione del 1953, quella che conquistò la vetta più ambita di ogni tempo.
Chiamata pure "the house of snow", questa inespugnabile cima era intitolata al cartografo gallese della fine del 700, Edmund Everest ed aveva rappresentato la sfida più impegnativa per le 11 missioni che avevano tentato inutilmente di raggiungerla.

Arrivare laddove nessun uomo è mai giunto prima

Non senza picchi di eroismo e di grande coraggio: ricorderete, tra le tante, la spedizione inglese di cui abbiamo narrato, quella degli impavidi Mallory e Irvine, sfortunati alpinisti travolti a 250 metri dalla vetta.
Mentre il 29 maggio del 1953 sarebbe divenuta anch'essa  una data storica, perchè il neozelandese Edmund Hillary e il nepalese Tenzing Norgay avrebbero raggiunto finalmente quel picco, sogno di tutti i grandi alpinisti di ogni tempo.
A chi creda che una scalata sia fatta solo di un procedere di sforzi e di lenta perseveranza, ricordo che una dei fattori che minano la fiducia degli scalatori sono sopratutto le condizioni metereologiche, che spesso pregiudicano completamente una spedizione : così come per gli eroi Irvine e Mallory, anche Hillary e il suo compagno furono bloccati ancor prima dei loro predecessori,giunti alla distanza dei 300 metri, cioè l'altezza della così detta linea rossa.

Cosa permette di resistere nelle avversità?

Dovettero attendere con pazienza, resistendo, attraverso ben 9 campi base, prima di dare l'assalto alla vetta, il 22 maggio...7 giorni sull'orlo del baratro, momenti di angosciosa tensione ed  ineludibile apprensione.
E cosa dire della risposta individuale allo stress, all'inclemenza dei fattori atmosferici, all'ironia della sorte che fa spesso capolino in eventi inaspettati e difficilmente prevedibili?
Ma cosa si prova poi, quando si raggiunge una vetta, dopo anni ed anni di preparazione, di appassionato allenamento, di studi sulle pareti più idonee da scalare?
L'indubbia gioia non è certo soffocata dalla professionalità dei nostri eroi: l'emozione non può e non deve essere nascosta!

Si ricorda la prova nel percorso e non la gioia dell'obiettivo raggiunto

Eppure il loro più frequente ricordo negli anni a venire non avrebbe indugiato nel raggiungimento dell'obiettivo, ma più spesso avrebbero ricordato le fasi della scalata, i giorni di attesa, le grandi e piccole vittorie quotidiane.
Ma il momento della conquista tanto ambita e fonte di felicità sarebbe stato inaspettatamente archiviato, pur preservandone l'emozione e la gioia.
Lo stesso accade nella quotidianità, a noi epigoni di un'esperienza fantastica, che scaliamo la vetta della vita, a chi di noi ha l'animo del ricercatore e il gusto avventuroso del ribelle, che non si accontenta delle pianure, ma che vuole vedere il volto di Dio.

Pregare per  coloro che non sono più con noi, aiutare e confortare i compagni di viaggio, divenendo esempio di onestà e perseveranza

A noi, che siamo disposti a morire, ma non a cedere, che offriamo la nostra mitezza,  il nostro esempio ed il nostro coraggio, la nostra spalla a chi non riesca a proseguire, il nostro cuore a chi non abbia consolazione, a noi che non vogliamo fermarci e che sappiamo sorridere all'alba del mattino gelido, a tutti noi è dedicato questo messaggio di forza e speranza.

Quindi spero che ciascuno, nel suo cuore, sia vicino al sofferente in questa sera di preghiera, raccolti attorno alla vetta delle nostre speranze, armati della perseveranza della fede e della chiarezza dei nostri intenti , davvero come fratelli: in preghiera alle 22, in Pace e Luce.

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